Non accade molto di frequente che un romanzo italiano venga tradotto in arabo e divulgato nell’ampio scenario dei paesi arabofoni. Quando ciò avviene è motivo di particolare entusiasmo e soddisfazione sia per chi quel libro lo ha scritto, sia per tutti quelli che lo hanno letto e amato. È ciò che è accaduto con il romanzo “Sul corno del rinoceronte” della scrittrice e giornalista Francesca Bellino, pubblicato in Italia da L’Asino d’oro Edizioni nel 2014.
L’autrice ha tenuto alta l’attenzione sul suo romanzo che, lo ricordiamo, narra la storia di un’amicizia al femminile e transculturale, due donne provenienti dalle due opposte sponde del Mediterraneo, Mary, italiana, e Meriem, tunisina. Un incontro che porterà le due donne a viaggiare nella Tunisia proprio all’indomani della cacciata di Ben Ali, nei giorni della prima rivoluzione che animò le cosiddette “primavere arabe”. Un incontro che diventa metafora di un dialogo interculturale necessario e irrimandabile in un’Italia sempre più multiculturale.
Dopo sei anni dalla pubblicazione, questo romanzo viene tradotto in lingua araba ed affidato al giudizio dei lettori arabofoni. Per parlare di questo nuovo traguardo guadagnato dal romanzo, abbiamo incontrato l’autrice, che ci ha condotti alla scoperta della nuova veste del suo libro e di cosa davvero rappresenti per lei e per il suo romanzo questa nuova avventura.
A sei anni dall’uscita del tuo libro “Sul corno del rinoceronte” è arrivata la pubblicazione in lingua araba. Quale è stato il percorso per arrivare a questa pubblicazione e come mai proprio in questo momento?
Come in tutte le cose belle della vita, anche questa traduzione è frutto una serie di incontri virtuosi. Innanzitutto quello con Saoussen Bou Aicha che ha apprezzato il libro e ha iniziato a tradurlo per amore della storia. Poi con Khaled Soliman al Nassiry, coraggioso fondatore della casa editrice Al-Mutawassit. E infine con il professor Ahmed Somai, traduttore tra gli altri de “Il nome della rosa” di Umberto Eco, che ha dato il tocco finale al progetto con una pregiata revisione. L’uscita del libro era prevista quest’anno ma il Covid19 ha bloccato la stampa, così – in attesa della riapertura delle tipografie – si è deciso di fare un lancio on line attraverso la rivista Ultrasawt.com e la piattaforma Abjjd.com, decisione che ha permesso al romanzo di arrivare in tutti i paesi arabofoni gratuitamente nel mese di maggio. Un’inedita operazione globale che ha reso reale e concreto quel ponte culturale che viveva nei miei sogni sin dall’origine della storia. Ogni traduzione è sempre una gran festa per la letteratura perché solo le traduzioni permettono alle storie di oltrepassare i confini. Sono davvero felice che ‘Sul corno del rinoceronte’ stia incontrando il pubblico arabo anche perché questa storia nasce proprio dal desiderio di inventare un nuovo spazio d’incontro per chi vive a nord e chi vive a sud del Mediterraneo e per incoraggiare uno sguardo reciproco tra Italia e mondo arabo.
Il libro in lingua araba è già fruibile in formato digitale, e presto lo sarà anche in formato cartaceo, in molti Paesi arabofoni. Qual è l’accoglienza che sta ricevendo da parte dei lettori arabi?
Un’accoglienza calorosa, di grande curiosità e anche di sorpresa. Stupisce che un romanzo italiano abbia come ambientazione le rivolte in Tunisia del 2010 e la liberazione del paese dopo 23 anni di dittatura. Lo scrittore, critico e vice direttore della Casa del Romanzo di Tunisi, Mohamed Lehbecha, ha sottolineato che “i tunisini non possono impedire a un romanziere straniero di scrivere sulla rivoluzione tunisina”. “Non dobbiamo considerare questa rivoluzione come proprietà personale, né le questioni tunisine come separate dal mondo – ha evidenziato -. L’interesse dei romanzieri stranieri verso i nostri problemi deve essere per noi piuttosto una fonte di orgoglio. Ricordiamo il famoso romanzo “Salambò” di Gustave Flaubert in cui è raccontato un periodo importante nella storia della Tunisia e di Cartagine, la rivolta dei barbari mercenari durante la prima guerra punica”. Il professor Ezzedine Anaya, tra i primi a recensire il libro per al-Hayat, l’ha elogiato definendolo “uno dei primi romanzi occidentali scritto da un’abile scrittrice che racconta la Storia con linguaggio letterario e il grande sogno di liberarsi dai tiranni che hanno sempre avuto gli arabi da Cartagine a Palmira”. Anaya ha anche evidenziato come il romanzo contenga anche “una palese dichiarazione della difficile situazione dell’Occidente e dalla crisi sociale che vive”, aspetto poco considerato dalla critica italiana. E’ stato inoltre ben accetto l’invito a specchiarsi nella visione dell’Altro. “Io sono il lettore arabo che scopre se stesso attraverso il romanzo di Francesca Bellino in uno specchio provocatorio” ha scritto su Ultrasawt.com il giornalista marocchino Soufiane Abderrahmane Elbali, mentre la critica algerina Sara Slim che ha recensito con entusiasmo il romanzo per il giornale libanese al-Akhbar ha ammesso di aver scoperto il significato della mano di Fatima da un dialogo delle sue protagoniste. Conferma che la letteratura può svelarci profondamente noi stessi e le nostre origini.
A quasi dieci anni dalle rivoluzioni cosiddette delle “primavere arabe” qual è l’attualità della storia che tu hai narrato nel tuo romanzo, e soprattutto quanto essa può risultare attuale per i lettori di lingua araba?
La letteratura si occupa dell’essere umano, quindi è sempre attuale. In “Sul corno del rinoceronte” i sentimenti indagati sono l’emancipazione da ogni forma di dittatura, la ricerca della libertà e le rivoluzioni interiori, sentimenti che appartengono a ogni popolo e a ogni individuo. Il bisogno di liberarsi da condizionamenti, manipolazioni, limitazioni, dal proprio “rinoceronte interiore”, appartiene a tutti, così compiere una rivoluzione personale per migliorarsi è un bisogno umano, indipendentemente da dove si nasce e dove si vive. Credo inoltre che il mondo arabo stia ancora elaborando l’intensa pagina di storia che ha vissuto a partire dal 2010, quindi il confronto con visioni altrui potrebbe rappresentare anche un’opportunità per avere nuove percezioni del proprio mondo e della propria Storia.
La scena politica e sociale di molti Paesi arabi, sia del Nord Africa che del vicino e Medio Oriente è molto mutata nell’arco degli ultimi dieci anni. Che paesi troverebbero oggi le due protagoniste del romanzo se si mettessero in viaggio in alcuni di questi Paesi? Soprattutto per il fatto di essere due donne che viaggiano da sole?
Ogni Paese arabo ha la sua Storia. Per quanto riguarda Italia e Tunisia posso immaginare che Mary, arrivando in Tunisia, avvertirebbe subito il peso della crisi economica aggravatasi di anno in anno e sui volti della gente troverebbe quell’illusione ottica della libertà che non è mai vera e concreta senza frontiere aperte per tutti e senza un sistema economico che lavora per evitare le disuguaglianze. Meriem in Italia, invece, scoprirebbe un paese sempre più a disagio di fronte alla gestione della migrazione, più razzista e impoverito culturalmente. Dopo aver assistito agli enormi sforzi fatti dalla Tunisia per conquistare e difendere il percorso democratico, l’Italia le apparirebbe immobile, ricurva su stessa, sempre più resistente ai cambiamenti sociali e culturali e priva di opportunità per gli stranieri. Sarebbe comunque interessante seguirle in nuovi viaggi tra i due paesi a dieci anni di distanza perché la geografia in cui si muovono i personaggi è innanzitutto la loro geografia interiore. Ogni individuo ha una geografia interna ancora inesplorata e qualunque momento è buono per intraprendere un nuovo viaggio verso se stessi.
La storia che racconti nel tuo libro narra le vicende di due donne che vengono dalle opposte sponde del Mediterraneo. Cosa rappresenta per te questo mare? Può il mare essere una metafora della convivenza fra i popoli? E quanto è cambiato il mare nostrum in questi ultimi anni?
Il Mediterraneo per me è innanzitutto casa visto che sono nata a Salerno, sulla sponda nord, e frequento da molti anni la sponda sud per motivi personali e professionali. Quando mi penso mediterranea mi sento un ponte. Da questa sensazione è nata la voglia di creare con la scrittura dei ponti tra le due sponde del Mediterraneo per alimentare la narrazione di una storia comune che esiste ma che viene troppo spesso dimenticata. Il Mediterraneo è per sua natura uno spazio di mescolanza tra culture. Arabi, berberi, musulmani, ebrei, cristiani, bianchi, neri lo hanno sempre coabitato e hanno mescolato tra loro lingue, sapienze, usi, costumi e sangue. Una lunga pagina di Storia è stata scritta in Tunisia proprio dalle numerose ondate migratorie di italiani. Proprio in questa fase storica dovremmo ricordare che anche l’Italia fa parte della storia del Mediterraneo e guardare a chi arriva da mare con maggiore compassione.
Le due protagoniste, Mary e Meriem appaiono in una dimensione speculare l’una con l’altra. Quanto della loro storia si riflette secondo te nel dialogo interculturale oggi nel nostro Paese, anche alla luce dei flussi migratori degli ultimi anni?
Quando ho scritto la storia volevo evidenziare le difficoltà dell’Italia ad accettare la sua metamorfosi verso una società transculturale e dunque le ipocrisie e i limiti degli italiani nell’approcciarsi a persone di altre provenienze, anche di chi, come il personaggio di Mary, per essendo mosso dalla curiosità e da istinti altruistici, fatica a liberarsi dai pregiudizi e a ritrovare la natura accogliente e solidale che ha sempre caratterizzato l’Italia. Penso che la maggior parte degli italiani, condizionata da una classe politica miope, non si renda ancora conto di vivere già in una società dove convivono persone di diverse religioni e culture. Pur essendo affacciata sul mare, l’Italia è il paese europeo più chiuso e arretrato proprio perché non accetta e non investe sulla sua identità mediterranea. L’Italia è malata di monolinguismo, di omogeneità, di eurocentrismo e di forme subdole di razzismo che stanno rendendo impossibile approvare la necessaria legge sulla cittadinanza per le seconde generazioni. Il solo modo per rendere il mondo più giusto, più sicuro e più florido è l’uguaglianza dei diritti.
Il dibattito sul fenomeno migratorio in Italia è fortemente influenzato da prese di posizione sovraniste che tendono ad avvelenare la riflessione pubblica. Come può a tuo giudizio la letteratura aiutare ad affrontare in maniera più obiettiva e inclusiva questo dibattito?
La letteratura è una chiave per aprire la porta di nuovi mondi, per avere nuove visioni e per avviare nuovi ragionamenti, quindi può senza dubbio aiutare a sollevare quel velo che copre le coscienze di molti cittadini e ampliare le sfumature della percezione dell’Altro. I romanzi vanno oltre la cronaca e i dibattiti mediatici, scavano nelle viscere dei sentimenti e permettono di accedere con coraggio ai posti più oscuri e più ignoti dell’essere umano, anche a quegli angoli dove sono custoditi pregiudizi ereditati e paure arcaiche.
Intervista di Beatrice Tauro pubblicata su Arab Press il 2/6/2020
Quando un romanzo italiano si veste di lingua araba. Intervista