Da fuori la Cittadella della cultura di Tunisi appare come una scatola chiusa. Le alte e spesse mura che la circondano non permettono di vedere quello che succede dentro. Per scoprirlo bisogna entrarci. Una volta dentro si ha subito l’impressione di trovarsi in una tipica città araba, di quelle che prevedono l’isolamento visuale dello spazio privato, considerato sacro. Oppure in un’antica casa magrebina progettata con la stessa logica: mura intorno e al centro un grande patio su cui si affacciano le porte delle stanze e corridoi che conducono ad altre porte.
In questa nuova sorprendente megastruttura statale progettata nel 2003 e tanto anelata dai tunisini, prezioso investimento sulla cultura in Nord Africa, ogni porta è un’occasione di fuga dal vuoto, dalla miseria e dalla rassegnazione. Le stanze ospitano sia uffici, sia sale dedicate ad attività culturali di varia natura avviate lo scorso 21 marzo, giorno della sua apertura al pubblico a cui ho partecipato per vedere da vicino la nascita del progetto.
Ci sono voluti 15 anni prima di riuscire a consegnare ai cittadini l’attesa Madinet Ethakafa voluta dall’ex presidente Ben Ali e poi passata nelle mani dei diversi governi che dal 2011 a oggi si sono susseguiti nella Tunisia post-rivoluzionaria. Finalmente ora la Cittadella è una realtà che in soli quattro mesi ha già ospitato centinaia di spettacoli di musica, teatro e danza, conferenze, mostre e festival di cinema tra cui il neonato Manarat dedicato ai film del Mediterraneo, organizzato da uno staff femminile d’eccellenza.
Gli spazi per dare forma alle idee in città, dunque, si sono moltiplicati e, anche se con le normali difficoltà di ogni inizio, gli operatori culturali tunisini oggi possono contare su un nuovo Museo d’arte contemporanea, un complesso cinematografico con due sale di proiezione e un Auditorium, studi di produzione televisiva, sale prove, tre teatri tra cui un immenso spazio per l’Opera, la Casa del romanzo e la Cineteca nazionale che, dopo tre mesi di proiezioni tra cui tre eventi sul cinema italiano, inaugurerà ufficialmente il 18 settembre con un ciclo dedicato alla coppia nel cinema tunisino.
“La sfida del progetto è di dare un’anima a spazi progettati in origine per la propaganda e la centralizzazione” spiega il direttore della cineteca, il regista Hichem Ben Hammar.
Oltrepassato il maestoso portone dell’ingresso principale che si affaccia su viale Mohamed V, nel cuore della città, e fatti i dovuti controlli con il metal detector che ormai in Tunisia sono pratica quotidiana negli spazi pubblici, lo sguardo dei visitatori si perde nell’ampio spazio che nasconde l’operosità di chi vi lavora per portare avanti i progetti in cantiere, per farne partire altri, o per allestire nuove aree, anche ricreative, e aiutare l’economia locale a rimettersi in moto.
Dopo l’estate verranno aperti negozi, caffè e ristoranti per accogliere i turisti curiosi anche di salire sulla torre con la punta a sfera visibile da lontano. Anche la Casa del romanzo avrà un caffè letterario destinato a studiosi e intellettuali. Da qualche mese questo spazio gestito dallo scrittore e critico Kamel Rihai (del quale è appena stato tradotto in Italia da Francesco Leggio Bisturi per Jouvence), ospita la Biblioteca Bashir Khrayef, dedicata al padre del romanzo tunisino, nata per raccogliere, archiviare e documentare le fonti della letteratura locale. Qui si possono leggere libri rari e antichi di autori tunisini, da Mohmud Messadi ad Ali al-Duagi, ma anche traduzioni di romanzi stranieri in arabo, testi critici introvabili e raccolte poetiche tra cui una pregiata stampa di poesie scritte a mano da Abou el Kacem Chebbi negli Anni ‘30.
La Casa del romanzo, così come la Cineteca che si occupa di raccogliere, conservare, restaurare e valorizzare il patrimonio cinematografico, lavora per salvare la Memoria del paese. Il bisogno di moltissimi cittadini di combattere terrorismo e fanatismo con azioni culturali e non solo militari e poliziesche, si collega al tentativo che cinefili e scrittori tunisini di tenere vivo il valore della Memoria, in quanto processo di crescita e di emancipazione che consente al paese di proseguire il cammino democratico intrapreso e di continuare a scegliere il proprio futuro.
Una pulsione verso il passato si avverte nei progetti, ma anche nei discorsi dei giovani, eppure passeggiare in questa immensa struttura che si estende su oltre 9 ettari ancora tutta da inventare, con nelle narici l’odore del cellophane di sedie e scrivanie ancora intatte, fa pensare al nuovo che deve venire. A una scatola vuota da riempire. Al futuro da immaginare e a tante porte d’ingresso che conducono verso i sogni di chi non dimentica che uno spazio di cultura è uno spazio di vita.
Buone Notizie, inserto del Corriere della Sera – 14/8/2018