Nel panorama letterario arabo-mediterraneo, la letteratura tunisina è la meno conosciuta all’estero, eppure non ha nulla da invidiare alle altre storie letterarie dell’area. Per non godendo di nomi di spicco tradotti in tutto il mondo come l’algerino Albert Camus, o l’egiziano premio Nobel Nagib Mahfuz, o il libanese Elias Khuri, ha alle spalle una ricca e diversificata produzione transculturale e in questa fase, a quasi dieci anni dalla rivoluzione, si presenta come la più dinamica e offre testi inaspettati che esplorano diversi generi e superano gli stereotipi orientalisti che ancora alimentano forme di etnocentrismi presenti in Occidente.
Proprio la liberazione della parola è stata una delle grandi conquiste dei tunisini dopo la cacciata di Ben Ali il 14 gennaio 2011 ed è in questo esercizio di libertà che troviamo la voce della nuova Tunisia, quella democratica, plurale, coraggiosa, a tratti spregiudicata a cui il Festivaletteratura di Mantova quest’anno dedica la sezione “Una città in libri” curata da Luca Scarlini, una biblioteca temporanea di 250 titoli e un palinsesto radiofonico in onda dal 9 al 12 settembre sul sito 2020.festivaletteratura.it.
Nei testi scritti e pubblicati in questi anni si scopre un paese arrabbiato e battagliero da un lato, deluso e rassegnato da un altro, ma è proprio attraverso i romanzi che riscontriamo che, nonostante la disoccupazione alle stelle, la frammentazione politica e l’insanabile crisi economica aggravata prima dal terrorismo ora dall’emergenza Covid-19, la Tunisia è ancora capace di sognare.
Praticare la libertà e il sogno sono attività strettamente collegate. Ce lo ricorda proprio uno degli scrittori tunisini più noti all’estero, Ali Bècheur, pubblicato in Italia da Francesco Brioschi Editore che, dopo Il paradiso delle donne (trad. di Yasmina Melaouah), quest’anno ha fatto uscire I domani di ieri(trad. di Giuseppe Giovanni Allegri), entrambi libri scritti in francese e premiati con il Comar d’Or, il più prestigioso premio tunisino.
“La mia prima libertà era quella di sognare – scrive Ali Bècheur -, giunsi a pensare che sognare significasse essere libero e che di conseguenza chi nega all’uomo la libertà di sognare gli nega di fatto la libertà, con il corollario che non si può togliere la libertà a colui che sogna”.
Se sognare è dunque un esercizio di libertà e scrivere contiene il sogno e l’immaginazione, allora la stessa scrittura può essere considerata una forma di proseguimento della rivoluzione cominciata nelle strade del paese nel 2010. Scrivere è in sé un atto rivoluzionario che ormai in Tunisia viene compiuto quotidianamente e senza il bisogno di strizzare l’occhio all’Occidente proponendo temi di appeal che soddisfano le attese dei suoi lettori attratti da storie di rivolte e macerie, di jihad e sottomissione femminile.
“Per i tunisini il famoso grido Dégage non ha espresso solo il rifiuto e il desiderio di respingere un regime politico dispotico, ma anche i fantasmi di un passato pesante e la sofferenza di un popolo senza voce” spiega il docente Adel Khedher, autore, insieme a Samia Kassab-Charfi, del volume Un secolo di letteratura in Tunisia, 1900-2017 (Honoré Champion).
“Parlare – prosegue il professore – è anche liberarsi di un passato che vive ancora nella nostra memoria. Tra un perdono impossibile e una vendetta non realizzata, è iniziata a germogliare una traccia letteraria che ha preso la forma di ricordi. Ci ha incoraggiato a dimenticare l’indimenticabile per ottenere una possibile pace e, al contempo, ci ha invitato a fare buon uso del passato per vivere meglio insieme”.
Proprio i due docenti tunisini Samia Kassab-Charfi e Adel Khedher, a marzo scorso, hanno lanciato su Le Monde un grido d’allarme per “correggere lo squilibrio di visibilità della letteratura tunisina rispetto a quelle degli altri paesi del Maghreb”.
“La letteratura tunisina deve essere riscoperta” titolava il pezzo firmato da Frédéric Bobin, riferendosi sia alla produzione letteraria del passato, sia presente e sia alle opere scritte in arabo, sia a quelle scritte in francese.
La professoressa Samia Kassab-Charfi ha evidenziato l’aumento del numero di libri pubblicati nel post-rivoluzione che “non si sono limitati a fare un’analisi sociologica del fatto storico, ma hanno problematizzato tutti gli ambiti, esplorando il lato psicoanalitico degli eventi e le conseguenze sugli individui, la sessualità, le nuove forme di empatia sociale, il rapporto con le credenze”.
Kassab-Charfi ha sottolineato, inoltre, che “oltre alle nuove voci che hanno trovato l’opportunità di esprimersi, tutti gli scrittori confermati hanno reagito con uno o più testi a questo sconvolgimento politico e sociale: Abdelwahab Meddeb, Emna Belhaj Yahia, Fawzi Mellah, Azza Filali, Rafik Ben Salah”.
Secondo l’analisi del professor Adel Khedher, i temi che prevalgono nei romanzi contemporanei sono: la miseria proposta con “un realismo cupo”, come nei romanzi di Chadia Gasmi Al-Masab (La discarica) e Rayet Soud (Bandiere nere); e la follia individuale e collettiva “che esprime una sofferenza disumana” come in Sirat al-maatouh (La biografia di uno sciocco) di Mouldi Dhaw, o in Akhbar al-Razi (Cronache del Razi) di Aymen Dabboussi.
Razi è un ospedale psichiatrico di Tunisi che si trova nel quartiere Manouba ed è l’ambientazione dei 48 racconti spietati in cui Aymen Dabboussi, medico e scrittore, estende la logica del male oltre i casi clinici. Dabboussi e molti altri scrittori contemporanei si sono appropriati del “presente sanguinante”, eppure sono tanti i libri che raccontano anche le cicatrici lasciate dal passato, sul corpo e sulla mente. Ne è un esempio Il domani di ieri di Ali Bècheur, classe 1936, che ci riporta addirittura nell’epoca del protettorato francese (1881-1956) e al disagio dell’ibridità.
“Sono nato tra due mondi […] – scrive Bècheur – Essere colonizzato significa essere destinato a non sapere su quale piede appoggiarsi. […] Essere colonizzati conferisce il dono dell’ubiquità. […] Quanto a me, volevo sì parlare in francese, scrivere in francese, ma restando arabo, indigeno”.
Ali Bècheur vive a Parigi, così come Habib Selmi, classe 1951 che però ha scelto di scrivere in arabo. Di Habib Selmi è appena uscito in Italia per Atmosphere Libri Le donne di al-Basatin (trad. dall’arabo di Federica Pistono), una storia in cui emerge la Tunisia corrotta, immobile e ipocrita alla vigilia delle rivolte.
Habib Selmi, conosciuto in Italia anche per Gli odori di Marie Claire (Mesogea, trad. dall’arabo di Elisabetta Bartuli e Marco Soave), ha sempre mantenuto nei suoi libri un doppio sguardo tra Tunisia e Francia mostrando, tra gli altri, temi costanti come la decadenza del mito della virilità maschile nel mondo arabo, la doppia morale che vige nella società tunisina (una per gli uomini, una per le donne), lo spaesamento e i conflitti dei migranti maghrebini in Europa.
Troviamo una memoria ferita anche ne L’Italiano di Chokri Mabkhout, romanzo vincitore del premio internazionale arabo Booker 2015, uscito in Italia per E/O (trad. dall’arabo di Barbara Teresi), e ambientato nella Tunisia a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta, anni di tensioni e cambiamenti che hanno come fulcro il passaggio di potere da Burghiba a Ben Ali.
Tra le autrici, una delle più note e più apprezzate è Azza Filali, classe 1952, conosciuta in Italia per Ouatann. Ombre sul mare (trad. di Maurizio Ferrara) pubblicato da Fazi. Azza Filali, medico per professione, ha i piedi ben radicati nella sua epoca e nella sua ultima storia, Les Intranquilles (Elyzad), porta il lettore nella fase post-rivoluzionaria evidenziando la stagnazione più che l’euforia del cambiamento. La voglia di lasciare il paese dei suoi giovani protagonisti è una costante nei suoi personaggi che evidenzia il malessere persistente anche nel nuovo sistema, un mal di vivere che nella storia si manifesta attraverso messaggi che arrivano dal corpo, soprattutto dalla pelle, primo contatto con l’Altro e memoria delle ferite del tempo.
Secondo il professor Adel Khedher il tema della rivoluzione non è mai affrontato frontalmente nei romanzi usciti finora in Tunisia, forse “per l’incapacità di raccontare o comprendere i fatti”. “Il romanzo di Om Ezzine Benchikha Lan toujanna wahidan hadha alyawm (Oggi non impazzirai solo tu), per esempio – spiega il docente -, cerca di dipingere poeticamente l’effetto rivoluzionario ma raramente l’evento rivoluzionario”.
Del resto la letteratura non è né la cronaca dei giornali, né la versione romanzata della Storia. Il vissuto degli scrittori ha bisogno di sedimentare e necessita di un tempo lento. E, soprattutto in questa fase così delicata in cui il paese sta cercando una nuova identità, anche la letteratura cerca se stessa. Ma agli autori il coraggio non manca, né la voglia di sperimentare. Il panorama offre prodotti molti diversi tra loro, dalla raccolta di racconti di fantascienza e horror Demencia di Tareq al-Lammouchi in cui l’autore non propone un viaggio in un universo parallelo, ma un modo suo di esplorare i percorsi della vita, al libro di chiara ispirazione bukowskiana Achiqat al-nadhl (Le amanti del bastardo) di Kamel Riahi.
Diverso è il discorso per i libri di testimonianza che portano con sé una carica di urgenza, come le memorie dal carcere. “Non possiamo non menzionare Cristal di Gilbert Naccache, prototipo delle memorie della prigione tunisina – spiega Adel Khedher -, o il diario di Fethi Belhaj Yahya El habs kadheb za el-hay irawh (La prigione non è eterna e un giorno usciranno i vivi) scritto in dialetto tunisino; Borj al-Roumi (La torre di Rumi) di Samir Sassi o Ahbeb Allah (I figli di Dio) di Kamel Cherni; il romanzo di Lazhar al-Sahraoui Wajheni li jothatin wahida (Due volti per un cadavere), e quello di Abd al-Jabbar al-Maddouri, Mounadhilon raghma anfika (Militanti nonostante te), scritto segretamente in prigione”.
Confronti – 7 settembre 2020 https://confronti.net/2020/09/la-liberazione-della-parola-nella-letteratura-tunisina/