Nel ricostruire la mia genealogia femminile e nel rintracciare le mie antenate nel giornalismo e nella letteratura, non ho avuto dubbi a inserire Matilde Serao in cima all’albero che stavo innalzando nella mia immaginazione perché Matilde Serao ha vissuto una vita straordinaria, è stata una donna indomita capace di gesti di grande modernità e ha lasciato una enorme eredità da raccogliere e onorare. 

Matilde Serao è stata una figura unica nel panorama giornalistico, culturale e letterario italiano tra fine Ottocento e inizio Novecento. È stata la prima donna a fondare e dirigere quotidiani in Italia ed è stata soprattutto la prima giornalista a pensarsi e ad agire come una professionista e a esercitare la libertà di pensiero e di espressione in un’epoca in cui il mondo femminile era fortemente relegato a una dimensione domestica. Tutte le giornaliste italiane dovrebbero sentirsi debitrici nei suoi confronti. Nessuna cronista prima di lei aveva approcciato il mestiere in maniera totalizzante, né aveva inteso il giornale come un mezzo di informazione e testimonianza e al contempo come un’impresa.

È considerata la madre del giornalismo femminile e, per me che ho cominciato il mio percorso giornalistico sulle pagine de “Il Mattino”, il giornale che ha fondato a Napoli nel 1892 con il marito Edoardo Scarfoglio, è ancor più un orgoglio, un vanto, un modello a cui tendere che incoraggia e dona ispirazione. 

Nelle pagine del fumetto realizzato insieme alla fumettista Lidia Aceto, pubblicato da Beccogiallo, seguiamo Matilde Serao a lavoro durante i giorni dell’eruzione del Vesuvio del 1906, la più devastante del Novecento. Per tutta la durata dell’attività vulcanica, dall’4 al 23 aprile, la giornalista va avanti e indietro tra la redazione e i paesi vesuviani per raccogliere storie, fatti e umori. Vuole essere in prima linea e onorare la sua vocazione: descrivere gli avvenimenti con “cuore sincero” affidandosi all’istinto. 

Ed è quello che sa fare magistralmente Matilde Serao che documenta con accuratezza la scoperta del volto brutale, spietato e terrificante del vulcano che lei chiama “Sterminator Vesevo” riprendendo la definizione dalla famosa poesia “La ginestra” (1836) di Giacomo Leopardi che diventa anche il titolo del libro che raccoglie le sue cronache dei momenti cruciali dell’eruzione con cui ottiene un successo internazionale.

Come tutti i napoletani, per tutta la vita Matilde Serao ha tenuto lo sguardo puntato sul Vesuvio. L’ha scrutato, ci ha parlato, ci ha scherzato, l’ha ammirato, l’ha incitato a eruttare, l’ha sognato, l’ha temuto, l’ha amato, ha cercato di intuirne gli umori e ha annotato le sue metamorfosi. Anche lei, donna ostinata e instancabile, deve essersi sentita piccola e vulnerabile di fronte all’imponenza del vulcano indomabile e capriccioso, così come lo si è di fronte all’imprevedibilità del proprio destino. Ma più che una minaccia il Vesuvio per lei è stato un amico, un confidente, una compagnia e vi ha instaurato un dialogo sin da ragazza.

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